Ricorsività

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“La ricorsività consiste nel far svolgere a un programma la stessa operazione per un numero indefinito di volte finché non si ottiene un risultato. Si usa la ricorsività nel caso di certi algoritmi per l’ordinamento di dati e affini. Ma occorre procedere con estrema cautela, altrimenti si rischia che il computer cada in una regressione all’infinito, che è l’equivalente informatico di quello che accade in certe stanze in cui gli specchi riflettono altri specchi sempre più piccoli, all’infinito: il programma continua in questo caso a ripetere l’operazione, senza che succeda nulla, finché la macchina non si blocca.

Ho sempre pensato che accada qualcosa di simile quando noi cerchiamo di rivolgere il nostro apparato di indagine psicologica su di noi stessi. Il cervello gira a vuoto. Il pensiero procede all’infinito, ma non arriva da nessuna parte. Dev’essere così, perché si sa che le persone sono capaci di pensare a sé praticamente senza soluzione di continuità. C’è gente, anzi, che quasi non riesce a pensare ad altro. Eppure non mi sembra che la gente cambi per effetto di questa introspezione intensiva. Non accade mai che le persone giungano a migliorare la propria comprensione di sé. E’ rarissimo trovare un’autentica conoscenza di sé.

Sembra quasi indispensabile che sia qualcun altro a dirci chi siamo o a reggere lo specchio per noi. E questo, se ci si pensa è davvero stranissimo. O forse no.”

Tratto dal romanzo “Preda” di Michale Crichton

Quest’ultimo paragrafo mi fa andar via di testa. Devo smetterla di pensare. E grazie a tutti quelli che mi reggono lo specchio.

Ivo

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